La giustizia deve essere di questo mondo by Donatella Di Cesare
autore:Donatella Di Cesare
La lingua: ita
Format: azw3, mobi
Tags: tradizione, bioetica, negazionismo, Judaism, memoria, identità, giustizia, cittadinanza, etica ebraica, Israele, Foreign Languages, Religion, ecologia, globalizzazione, Religion & Spirituality, Italian
editore: Fazi Editore
pubblicato: 2012-06-05T22:00:00+00:00
Il dolore trattenuto del perdono
La parola ebraica rachamìm, che vuol dire âpietà â, âcapacità di perdonareâ, viene da réchem, âgremboâ. Può perdonare la madre, può perdonare il padre, chi concede che il proprio figlio abbia commesso un errore che non è irreparabile né definitivo. Lâerrore umano non mette fine alla relazione tra genitore e figlio. In una relazione analoga, anche Dio, non più solo giudice, perdona e insegna a perdonare.
Lâebraismo non è dunque religione di vendetta. E se Giuseppe, che si riconcilia con i fratelli, è nella Torà lâarchetipo del perdono individuale, Mosè introduce il perdono collettivo. Non solo il singolo individuo, ma anche un popolo può essere perdonato. Il ricordo dellâoppressione in Egitto è ancora vivo. Eppure Mosè ordina: «non aborrire lâegiziano, perché sei stato ospite nel suo paese» (Deut 23, 8). La via della liberazione è anche lâuscita dalla prigione di un ricordo che grava sul cuore, lo angustia e lo deprime. Dimenticare con il cuore e ricordare con la ragione è il modo per mantenere la memoria â senza portare rancore. Questo divieto, fatto dalla Torà , è per Maimonide ciò che permette «la stabilità della terra e le relazioni sociali tra gli uomini» (Mishnèh Torà 7, 8).
Si comprende perché, nella forma di vita ebraica, il perdono non è affidato alle circostanze storiche e agli umori individuali. Nella sua forza di gravità scandisce lâanno ebraico. à Yom Kippùr la data del perdono, il giorno in cui lâintima liberazione della colpa si articola e si pronuncia nella comunità . Come se occorresse un tempo determinato, affinché il perdono possa essere richiesto ogni giorno dellâanno. Nel rito di Kippùr le colpe perdonate sono anzitutto quelle commesse verso Dio. Più complessa appare la riconciliazione con lâaltro, con il prossimo, con mio fratello, meno altro dellâAssolutamente Altro, eppure più altro di Dio. Dice la Mishnà h: «le colpe dellâuomo verso Dio sono perdonate nel giorno di Kippùr; le colpe verso gli altri non gli vengono perdonate nel giorno di Kippùr, se prima non abbia placato lâaltro» (Yomà 9).
Il perdono può essere concesso solo dalla parte lesa. Lâebraismo pensa il perdono, ma non lo semplifica. Dio può perdonare le offese fatte a Lui, ma non può perdonare le offese fatte allâuomo. Non câè un perdono per procura. Neppure quello divino. Lâoffesa allâindividuo non è cancellabile in nome di un assoluto che assolve. Chi è stato offeso deve essere placato e consolato, prima che possa elargire un perdono. Dio stesso non lo consentirebbe. «Forse Dio altro non è â ha scritto Lévinas â che questo permanente rifiuto di una storia che si mette a sesto sulle nostre lacrime private».
Câè una arcaica attualità dellâAntico Testamento, a sua volta bersaglio di tante offese, che sta nellâestrema tensione dinanzi allo spargimento di sangue, nel non poter negare giustizia alla vittima, nel provare orrore per unâassoluzione affrettata che toglierebbe persino il diritto di perdonare. La ferita inferta allâaltro incrina lâequilibrio del mondo. Chi lo ha creato, e ne porta il peso, non può sopportare che il crimine venga cancellato. Dio non può farsi carico del peccato commesso dallâuomo, non può annullarne la responsabilità .
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